Il castagno, radice del passato e seme del futuro

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Parlare oggi di cultura del castagno può sembrare anacronistico, un argomento da vecchie cronache di paese. Provate però ad entrare in una selva castanile d’autunno e percepirne le sensazioni, ascoltando i ricci cadere, le foglie svolazzare, il crepitio del bosco sotto i piedi mentre si coglie il profumo di terra umida. È in quei silenzi, rotti solo dall’alternanza di suoni essenziali, che si intuisce quanto questo albero abbia plasmato la vita di generazioni.

Per secoli il castagno è stato il “pane dei poveri”. Anche nei nostri villaggi del brusiese, intere famiglie si riunivano per raccogliere le castagne, da cui dipendeva la loro sopravvivenza. Era un rito collettivo, un momento di comunità. Ogni gesto era necessario, ogni castagna preziosa. Oggi, ricordare quella cultura, non significa cedere alla nostalgia, ma riscoprire un modello di vita più sobrio e sostanziale.

I castagneti sono ancora lì, custodi silenziosi delle montagne, e continuano a offrire i loro frutti. Ma sono anche un baluardo contro il dissesto idrogeologico, proteggono i pendii, mantengono viva la biodiversità. Dove un bosco di castagno è curato, il paesaggio è più sano, più bello, più accogliente anche per chi arriva da fuori. Non è un caso se molte comunità, come sta accadendo da noi, stanno riscoprendo questo patrimonio, trasformandolo in un motore di turismo lento, fatto di sentieri, feste d’autunno e prodotti tipici.

In un’epoca che corre veloce e consuma risorse come se fossero infinite, il castagno ci offre una lezione di pazienza e sostenibilità. Cresce lentamente, vive a lungo, restituisce più di quanto riceve. I suoi frutti, ricchi e nutrienti, oltre a donarci gli intramontabili “brasché”, tornano oggi nelle cucine più raffinate, nelle birre artigianali, nei dolci delle feste: un segno che tradizione e innovazione possono convivere, creando nuove opportunità economiche senza snaturare il territorio.

L’impegno nel perpetuare ogni anno la Sagra della Castagna e i numerosi eventi collegati ha un valore che va oltre l’aspetto gastronomico o turistico: è un modo per rinnovare la memoria collettiva, per trasmettere alle nuove generazioni la gratitudine verso un albero che ha sfamato e sostenuto intere comunità. È un rito che restituisce dignità a questo gigante silenzioso e, in fondo, un’occasione per dirgli grazie.

Il rischio, però, è l’oblio. I castagneti abbandonati, le malattie e i parassiti che li minacciano, l’indifferenza di chi li considera relitti del passato, possono cancellare secoli di storia in pochi decenni. Difendere la cultura del castagno significa investire nella cura dei boschi, nella formazione di nuovi coltivatori, nella ricerca di soluzioni ecologiche alle malattie delle piante.

Forse, più che anacronistica, la cultura del castagno è premonitrice. Ci ricorda che il futuro sarà sostenibile solo se sapremo mantenere vivo il legame con le nostre radici. Entrare in un castagneto, oggi, non è un viaggio nel passato, ma un atto di fiducia nel domani, poiché ci aiuta a comprendere come innovazione e rispetto per la natura possano convivere armoniosamente.


Piero Pola

1 COMMENTO

  1. Caro Piero,
    ti faccio i miei complimenti per il tuo toccante articolo. 25 anni fa
    abbiamo cominciato con la Sagra, che continua grazie alla gente
    legata al nostro territorio e ai suoi frutti. Con empatia Nando
    Nussio .